mercoledì 26 ottobre 2016

Euro-exit, Bagnai e la sfida dei dati

I lettori del blog mi scuseranno se rimando di qualche giorno la pubblicazione della terza ed ultima parte del post Quelli che "le banche centrali di paesi terzi potrebbero addirittura guadagnarci, da una dissoluzione dell'euro" ma il fatto è che il dibattito sull'€ è stato arricchito (si scherza, eh) nei giorni scorsi da alcune perle che meritano attenzione ed un commento a caldo.

Ecco le perle in questione, in ordine cronologico:

martedì 18 ottobre: il Manifesto pubblica un intervento di Antonella Stirati e Maurizio Zenezini intitolato L’euro e il gold standard d’accordo con Keynes, meglio di no

martedi 18 ottobre: il blog magazine facciamosinistra! pubblica un intervento di Sergio Cesaratto intitolato Brexit e dintorni

Mercoledì 19 ottobre: Il Fatto Quotidiano pubblica un articolo di Alberto Bagnai, firmato anche dal rosso di Nomura Jens Nordvig, intitolato EURO-EXIT E CATASTROFISTI, QUALCHE DATO SUL DEBITO.



Per consultare l'articolo direttamente sul FQ è necessario essere abbonati (detto per inciso: da alcuni mesi Bagnai non pubblica più interventi sul blog che il FQ gli ha messo a disposizione perché non può filtrare i commenti ma continua a pubblicare articoli sul FQ cartaceo e sulla versione per gli abbonati online, evidentemente al FQ si sono accorti che i seguaci della setta sono piuttosto attivi e vendere qualche copia in più del cartaceo e qualche abbonamento online in più non gli fa schifo pur essendo Bagnai molto lontano dalla linea editoriale del giornale) ma la consultazione è possibile anche sul sito dell'associazione a/simmetrie presieduta dallo stesso Bagnai.

Perla n. 1

Antonella Stirati e Maurizio Zenezini con il contributo L’euro e il gold standard d’accordo con Keynes, meglio di no intendono rispondere alla domanda

quali potrebbero essere le conseguenze per il mondo del lavoro di una dissoluzione della moneta unica?  

una domanda fatta da Giorgio Lunghini in un breve intervento dopo il vespaio suscitato dal suo intervento "catastrofista" del 23 settembre pubblicato dal Manifesto.

I due autori sostengono che l’alternativa euro/non euro dev’essere valutata alla luce dell’obiettivo prioritario di forze politiche progressiste, quello della piena occupazione e di migliori condizioni di lavoro. Noi riteniamo che la crescita dell’occupazione si possa avere solo con una forte ripresa della domanda, una strategia impossibile nell’attuale palinsesto della politica economica europea.

La ripresa della domanda non può iniziare dai consumi o dagli investimenti privati, perché questi non hanno modo né ragione di ripartire in una economia depressa (...).
Lo stimolo iniziale può dunque venire o da una ripresa delle esportazioni o dalla spesa pubblica.


Ma 

Le esportazioni sono recentemente aumentate verso i paesi extra-eurozona, grazie alla politica di Draghi che ha fatto svalutare l’euro rispetto al dollaro, ma la crescita è rimasta asfittica. 

quindi

Non ci resta che l’espansione della spesa pubblica, che suscita timori per il debito pubblico.

Ma

in un paese che gode di sovranità monetaria, il vincolo vero alla crescita della spesa pubblica non è il debito pubblico (semmai sono le politiche di austerità che fanno crescere il debito in rapporto al Pil), bensì il vincolo esterno cioè l’eccesso di importazioni rispetto alle esportazioni che si può verificare con una crescita della domanda e della produzione interna.

quindi, una volta recuperata la sovranità monetaria,

l’Italia dovrebbe affidarsi ad un mix di strumenti in grado di sostenere la spesa pubblica (per altro indispensabile se non vogliamo distruggere scuola, ricerca, sanità, infrastrutture) con una politica monetaria accomodante, una svalutazione della moneta rispetto a quei paesi europei verso i quali c’è stato un apprezzamento del tasso di cambio reale (la svalutazione non fa miracoli, ma contribuisce a tenere a bada i conti esteri in un paese manifatturiero) e con politiche industriali orientate ad attenuare il vincolo esterno.

In estrema sintesi i due autori, per favorire la crescita dell'occupazione, propongono di:

1. recuperare la sovranità monetaria

2. aumentare il debito pubblico per aumentare la spesa pubblica per stimolare la ripresa della domanda e favorire così la crescita dell'occupazione 

3. gestire la svalutazione per frenare l'import in modo da tenere a bada i conti esteri

Purtroppo questo schema è del tutto astratto ed inservibile perché 

1. sottovaluta in modo assolutamente superficiale l'inevitabile crisi del sistema bancario e finanziario nazionale che si aprirebbe alle prime avvisaglie di una rottura dell'€zona 

2. non tiene conto del più che probabile impatto negativo della svalutazione della nuova moneta nazionale sulla quota salari e sui salari reali, cone dimostrano numerosi episodi del passato 


Fonte: Realfonzo e Viscione (2015)

per non parlare dell'impatto negativo sull'occupazione


Fonte: Realfonzo e Viscione (2015)


3. tralascia il fatto che la svalutazione non è uno strumento che consente di correggere automaticamente i conti esteri squilibrati ( sull'impatto della svalutazione della sterlina sui salari e sui conti esteri inglesi è utile un recentissimo contributo di Francesco Lenzi)

Se non si considerano con la dovuta attenzione questi dati e tutti gli aspetti della questione, dire che L’abbandono della moneta unica potrebbe riconsegnare ai governi nazionali, soggetti al giudizio degli elettori, l’insieme degli strumenti di politica macroeconomica utilizzabili per far crescere l’occupazione  è solo wishful thinking a buon mercato.

Perla n.2

L'intervento di Cesaratto è molto denso, talmente denso che in certi passaggi le considerazioni si accavallano in modo contraddittorio, come se il testo fosse stato scritto di getto e pubblicato senza una rilettura, senza una ripulitura.

Le riflessioni di Cesaratto partono dal referendum sulla Brexit per arrivare al caso Italia: secondo Cesaratto Il risultato della Brexit è certamente una nostra vittoria. Anche se non va scordato che è un’uscita a destra, in nome della deregulation liberista e di sentimenti anti-immigrazione, non di una chiara difesa dei diritti sociali ulteriormente smantellati da Cameron (sicché parte del Labour ha visto nell’UE una qualche protezione dall’ultra liberismo City-Thatcher-Blair-Cameron).

Quindi un'uscita a destra è una vittoria della sinistra o è semplicemente la vittoria di chi auspica la rottura dell'€zona e dell'UE a prescindere? Non si capisce ...

E le conseguenze economiche della Brexit quali saranno?  


Vedremo quello che succede sul piano economico - scrive Cesaratto - ma avanzo la previsione che non succederà gran che. Non è un cataclisma, e perché lo dovrebbe essere? [...] L’assenza di maggiori sconquassi sarà un argomento a favore di chi ritiene una rottura dell’euro possibile.

Poi fa una capriola e lascia intendere che per noi uscire dall'€ non sarà indolore: 

Naturalmente qui le cose sono molto più complicate, lo sconquasso iniziale assai più profondo come ripristinare i sistemi di pagamento nazionali; quello di medio periodo più lento a digerirsi, in particolare il contenzioso sui debiti ridenominati in valute nazionali. 

Pur essendo meno superficiale dei due autori della Perla n.1, anche Cesaratto appartiene al partito ASPEDAP (Aumentiamo Spesa Pubblica Debito Prescinderecon la differenza che lui strizza l'occhiolino al pianeta MMT:

Dobbiamo mettere al centro l’occupazione, dire chiaramente che le politiche per crearla ci sono. Serve una proposta di creazione immediata di almeno due milioni di posti di lavoro. Qui le proposte MMT sullo “Stato come datore di lavoro di ultima istanza” sono rilevanti.

Creazione immediata di almeno due milioni di posti di lavoro ??!!

Bagnai, nel suo ultimo libro, prefigurava la creazione di un milione di posti di lavoro grazie al ritorno alla moneta nazionale, adesso Cesaratto punta al raddoppio ma come si conciliano queste proiezioni a dir poco velleitarie con i dati citati in precedenza, relativi all'impatto negativo delle svalutazioni su quota salari, salari reali e occupazione e con le inevitabili difficoltà legate non solo ad una svalutazione più o meno consistente ma anche al cambiamento della moneta e delle relazioni economiche con l'UE? Questo punto non è per niente chiaro, Cesaratto non ne parla ma il presupposto di una eventuale conciliazione è abbastanza ovvio perché non può che prodursi ignorando o sottostimando, come da 5 anni sta facendo Bagnai, le difficoltà inerenti al cambiamento della moneta.


Perla n. 3

La superficialità con la quale il fronte #noeuro minimizza i rischi di un eventuale ritorno alla Lira è eclatante nell'intervento di Alberto Bagnai, firmato anche da Jens Nordvig, intitolato EURO-EXIT E CATASTROFISTI, QUALCHE DATO SUL DEBITO

Preannunciato da un tweet sommesso


in perfetta sintonia con la proverbiale umiltà del personaggio, l'intervento di Bagnai è di fatto una filippica contro i catastrofisti: secondo Bagnai chi sostiene che uscire dall'euro sarebbe disastroso deve spiegarci bene il perché.

L’onere della prova infatti cade sui catastrofisti, poiché l’evidenza storica è contro di loro. 

E non solo l'evidenza storica: anche i dati relativi alla composizione del debito pubblico e del debito privato ci dicono, secondo Bagnai, che parlare di catastrofi epocali per rifiutarsi di analizzare la realtà non aiuta a minimizzare i costi di una eventuale uscita (voluta o subita), individuando e gestendo razionalmente le vere priorità.

L'argomentazione di Bagnai contro il catastrofismo si sviluppa lungo le tre direttrici di cui si è detto cioè analizzando l'evidenza storica ed i dati relativi alla composizione del debito pubblico e del debito privato.

Bagnai dice che chi sostiene che uscire dall'euro sarebbe disastroso deve spiegarci bene il perché.

Vediamo intanto se lui per primo riesce a spiegare bene perché uscire non sarebbe disastroso.

L'evidenza storica

Secondo Bagnai il catastrofismo è contraddetto dall'evidenza storica perché lo studio più autorevole sulla dissoluzione di unioni monetarie, condotto da Andrew Rose all’Università della California, chiarisce che nei 69 casi verificatisi nel dopoguerra “non si registrano movimenti macroeconomici violenti prima, durante o dopo un’uscita”.

Ma se andiamo a vedere lo studio di Andrew Rose cosa si nota subito? Si nota la tabella dei paesi che nel dopoguerra sono usciti da una unione monetaria: 

E cosa ci dice questa tabella? Ci dice che lo studio di Rose non serve a nulla perché la casistica presa in esame non ci può dare nessuna indicazione significativa sulle conseguenze di una eventuale uscita dell'Italia dall'euro e la dissoluzione dell'€zona: gli episodi considerati sono troppo lontani nel tempo, poco significativi sul piano dell'economia globale ed i paesi europei sono solo tre (Cipro, Irlanda, Malta) e sono troppo piccoli per essere indicativi. 

La questione del debito pubblico in mano estera

Secondo Bagnai è sbagliato ritenere che il debito pubblico in mano estera sia un problema reale perché il base al principio della Lex monetae, sancito negli articoli 1277 e seguenti del Codice civile: uno stato sovrano può stabilire in quale moneta debbano essere estinte le obbligazioni regolate da legge nazionale. 

Quindi

L’elemento determinante non è la nazionalità dei contraenti, ma quale diritto (nazionale o estero) regoli il contratto.

Bagnai fa un esempio:

Quindi se un tedesco detiene un Btp emesso sotto legislazione italiana, dovrà rassegnarsi a essere rimborsato in valuta nazionale svalutata.
Succede ogni giorno sui mercati: pensate agli investitori che avevano titoli denominati in sterline prima della Brexit (in seguito alla quale la sterlina si è svalutata del 15%). Viceversa, se il titolo è emesso sotto legislazione estera dovrà essere rimborsato nella valuta prevista dal contratto (verosimilmente euro), perché il governo italiano non può ri-denominare nel nuovo conio un contratto che non cade sotto la sua giurisdizione.
Quanti sono allora i Titoli di Stato emessi sotto legislazione estera che non potranno essere ridenominati in base alla Lex monetae ?

Ce lo dice Bagnai: 

In Costs and benefits of Eurozone breakup uno degli autori di questo articolo ha calcolato la percentuale di debito pubblico sotto legislazione estera: solo il 6% di quello in mano estera, ovvero 44 miliardi di euro. Una svalutazione del 20% aggraverebbe quindi di soli 9 miliardi il rimborso del debito pubblico: un impegno sostenibile. 

Quindi? Quindi nessuna catastrofe: con una svalutazione del 20% si avrebbe, secondo Bagnai, un danno sopportabile di appena 9 miliarducci, nulla di preoccupante. 

Questa sì che è una "prova" che può stendere i catastrofisti ... 

Ma le cose stanno davvero così?

Non proprio ...

A parte che non è corretto fare certi calcoli mischiando le stime di Nordvig pubblicate nel 2014 con i valori del debito pubblico di fine 2015, a parte il fatto che rimborsare un debito pubblico con una moneta svalutata determina in ogni caso nel medio lungo periodo un problema di credibilità internazionale, il punto da cui partire per un'analisi seria è che non tutto il debito pubblico è costituito da Titoli di Stato e per fare certi calcoli e certe proiezioni in modo corretto e preciso bisogna tener conto della composizione dei Titoli di Stato in circolazione. A tal proposito l'ultimo dato disponibile è il seguente:




Come si vede dal "disegnino" la percentuale di Titoli di Stato attualmente in circolazione sotto legislazione estera corrisponde al 2,55% del totale per un controvalore di 47 miliardi e 567 milioni di euro.

Se la nuova moneta nazionale si svalutasse domani del 20%  la corrispondente perdita di valore dei Titoli di Stato sotto legislazione estera ci costerebbe effettivamente circa 9 miliarducci? La risposta è Sì ... 

Ma se il riallineamento fosse più consistente ? Nel 2013 lo stesso Bagnai diceva che il riallineamento atteso è dell’ordine del 30%, distribuito lungo l’arco di almeno un anno. 
In tal caso la perdita potrebbe essere ragguardevole, anche se distribuita nel tempo: circa 14 miliardi.

E se il riallineamento fosse ancora più consistente? Nel 1992, prima della svalutazione, il marco valeva stabilmente circa 750 lire, nell'aprile del 1995 la lira toccò quota 1255 contro il marco, con una svalutazione, sui tre anni, del 59%.

Quanto ci costerebbe una svalutazione del 50% nell'arco di un triennio?  

Ovviamente Bagnai ci presenta solo lo scenario soft per convincere più facilmente i lettori che i catastrofisti sbagliano ma il punto non è questo, il punto è che purtroppo tutte queste proiezioni ed ipotesi sull'impatto di una svalutazione post-euro sui Titoli di Stato under foreign law è praticamente inutile perché c'è un problema più grosso che Bagnai, pur studiando tanto, non ha registrato: il problema è che non si può più contare sulla Lex monetae per ridenominare nella nuova moneta nazionale la maggior parte dei Titoli di Stato e dunque la maggior parte del debito pubblico.

Perché? Perché il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 7 dicembre 2012 ha stabilito che, a partire dal 1° gennaio 2013, le nuove emissioni di titoli di Stato aventi scadenza superiore ad un anno sono soggette alle clausole di azione collettiva (CACs). 

Cosa sono le CACs?

Le CACs, introdotte obbligatoriamente ai sensi del Trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità (articolo 12, paragrafo 3), sono clausole relative ad "ogni modifica, cambiamento, integrazione o rinuncia ai termini ed alle condizioni dei Titoli, ovvero agli accordi che ne governano l’emissione o l'amministrazione" e determinano le regole con le quali è possibile modificare i termini e le condizioni dei Titoli stessi.

Tra le condizioni che possono essere modificate c'è anche il cambio di valuta ma per modificare i termini e le condizioni dei Titoli e dunque per ridenominare eventualmente i Titoli in circolazione cambiandone la valuta di emissione, le CACs stabiliscono che l'Emittente non può più agire unilateralmente ma può agire solo con

(a) (i) il voto favorevole dei possessori di almeno il 75% dell’ammontare nominale aggregato dei titoli di debito in circolazione rappresentati in separate assemblee, debitamente convocate, dei possessori dei titoli di debito di tutte le serie (considerate complessivamente) i cui termini e condizioni sono oggetto della modifica proposta; o

(a) (ii) una risoluzione scritta firmata da o per conto dei possessori di almeno il 66 2/3% dell’ammontare nominale aggregato dei titoli di debito in circolazione di tutte le serie (considerate complessivamente) i cui termini e condizioni sono oggetto della modifica proposta; e

(b) (i) il voto favorevole dei possessori di più del 66 2/3% dell’ammontare nominale aggregato dei titoli di debito in circolazione rappresentati in separate assemblee, debitamente convocate, dei possessori dei titoli di debito di ciascuna serie (considerata singolarmente) i cui termini e condizioni sono oggetto della modifica proposta; o

(b) (ii) una risoluzione scritta firmata da o per conto dei possessori di più del 50% 
dell’ammontare nominale aggregato dei titoli di debito in circolazione di ciascuna serie (considerata singolarmente) i cui termini e condizioni sono oggetto della modifica proposta.

Quanti sono attualmente i Titoli che non potranno più essere ridenominati unilateralmente dall'Emittente, cioè dallo Stato italiano, applicando la Lex monetae? 

Per saperlo occorre verificare anzitutto le emissioni del 2013, del 2014, del 2015 considerando che le CACs non riguardano i BOT ma solo Titoli  aventi scadenza superiore ad un anno 




Se consideriamo i Titoli aventi scadenza superiore ad un anno, cioè BTP,  BTP €i, BTP Italia, CCT, CCTeu e CTZ , emessi nel 2013, nel 2014 e nel 2015 vediamo che il loro valore totale ammonta a 

787 miliardi e 545 milioni

Se consideriamo che siamo a fine 2016 e nell'ipotesi che la quantità di Titoli di Stato emessa nell'anno in corso sia in linea con quella degli ultimi tre anni, è lecito supporre che il valore dei Titoli di Stato vincolati alle CACs e dunque non ridenominabili unilateralmente grazie alla Lex monetae sia attualmente di circa 
1.000 miliardi di €

Non solo: tra 3 o 4 anni quasi tutti i Titoli di Stato aventi scadenza superiore ad un anno saranno probabilmente soggetti alle clausole di azione collettiva (CACs) e dunque il valore dei Titoli di Stato vincolati alle CACs e dunque non ridenominabili unilateralmente grazie alla Lex monetae potrebbe risultare superiore ai 

1.500 miliardi di €

Cosa accadrebbe con un debito del genere, che non è più ridenominabile unilateralmente grazie alla Lex monetae, qualora una eventuale uscita dall'€ comportasse una svalutazione del 20, del 30 o del 50%?

È presto detto: nessuno accetterebbe di subire una perdita secca del 20, del 30 o del 50% sul valore dei Titoli di Stato in suo possesso e al quel punto l'Emittente, cioè lo Stato italiano, non potendo applicare la Lex monetae per ridenominare unilateralmente i Titoli emmessi, dovrebbe subire una rivalutazione del debito corrispondente alla svalutazione della moneta oppure dichiarare il default.

Quindi, per ipotesi, se domani uscissimo dall'€, un debito in Titoli di Stato non ridenominabili con la Lex monetae di 1.000 miliardi di € come quello attuale diventerebbe in pochi giorni o in poche settimane un debito di 

1.200 miliardi di lire

sul quale, tra l'altro,  dovremmo pagare interessi rivalutati del 20% (se la svalutazione non supera il 20%)

Non sarebbe di certo un impegno sostenibile ...

Ergo, Bagnai avrà pure studiato molto in questi anni ma evidentemente non ha studiato abbastanza perché non si è reso conto che la Lex monetae sta diventando sempre meno applicabile perché dal gennaio 2013 i Titoli di Stato a lunga scadenza non vengono più emessi in base alla legislazione nazionale ma vengono emessi con clausole che rendono estremamente complicata la ridenominazione, soprattutto se la ridenominazione implica una consistente perdita di valore dei Titoli.

In estrema sintesi:  la dimostrazione anti-catastrofismo di Bagnai è priva di qualsiasi valore non solo per una certa superficialità nella presentazione dei dati ma soprattutto perché i dati corretti vanno inquadrati in una dimensione che a Bagnai è sfuggita del tutto e che non è per niente rassicurante. 

Tutte le volte che ne ha l'occasione Bagnai sostiene che il debito pubblico non è un problema ma sbaglia: il debito pubblico è già un grosso problema adesso ma diventerebbe un problema enorme se uscissimo dall'€ perché non è più ridenominabile unilateralmente dallo Stato.

La questione del debito privato

Bagnai valuta che alla fine del 2014 il totale dei debiti privati non ridenominabili (cioè da rimborsare in valuta forte) fosse pari al 46% del Pil, un valore, secondo Bagnai, non trascurabile ma nemmeno catastrofico perché, eccezion fatta per la Germania,  tutti gli altri paesi dell’Eurozona hanno esposizioni verso l’estero maggiori, con una media del 102% del Pil e perché se da una parte le esperienze storiche mostrano che quando il debito non ridenominabile supera il 30% del Pil, una svalutazione può compromettere la situazione finanziaria delle imprese, causando recessione dall'altra questa involuzione è riferibile per lo più a paesi emergenti, i cui mercati finanziari poco sviluppati non offrivano strumenti di copertura dal rischio di cambio.

Del resto, osserva Bagnai, la situazione italiana è diversa: lo dimostra il fatto che nel 1992 una svalutazione del 20% non provocò alcuna ondata di fallimenti.

Se alla fine del 2014 il totale dei debiti privati non ridenominabili (cioè da rimborsare in valuta forte) era pari al 46% del Pil, considerando che a fine 2014 il Pil valeva 1.620 miliardi e 381 milioni, allora il loro valore ammontava a 745 miliardi e 375 milioni. Se fossimo usciti dall'€ a fine 2014 e la nuova moneta si fosse svalutata del 20%, di quanto sarebbero aumentati questi debiti non ridenominabili? Il calcolo è facile: sarebbero aumentati di 

149 miliardi e 75 milioni di lire

cioè il 20% di 745 miliardi e 375 milioni.

Furbescamente Bagnai non ha sviluppato questo calcolo elementare mentre ha dato risalto ai 9 miliardi che secondo lui sarebbero il costo (sopportabile) derivante dall'impossibilità di ridenominare la piccola quota del debito pubblico emesso sotto legislazione estera.

Perché? Perché uno degli scopi principali della narrazione accattivante di Bagnai (sulla tecnica della narrazione accattivante cfr. il post Bagnai, le banche centrali e i Bund alemanni) è quello di minimizzare i rischi di un Euro-exit: se il dato è utile per convincere il lettore che una eventuale uscita dall'€ non è pericolosa, allora il dato viene messo in risalto, se il dato è problematico perchè potrebbe suscitare nel lettore qualche dubbio sull'opportunità di tornare alla moneta nazionale, allora il dato viene avvolto da una cortina fumogena di chiacchiere senza costrutto tipo la ricorrente analogia con la svalutazione del '92.

A parte il fatto che 

uscire da un accordo di cambi fissi non è come uscire da una moneta unica 
uscire da un accordo di cambi fissi non è come uscire da una moneta unica 
uscire da un accordo di cambi fissi non è come uscire da una moneta unica 
uscire da un accordo di cambi fissi non è come uscire da una moneta unica 
uscire da un accordo di cambi fissi non è come uscire da una moneta unica 
uscire da un accordo di cambi fissi non è come uscire da una moneta unica 
uscire da un accordo di cambi fissi non è come uscire da una moneta unica 
uscire da un accordo di cambi fissi non è come uscire da una moneta unica 
uscire da un accordo di cambi fissi non è come uscire da una moneta unica 
uscire da un accordo di cambi fissi non è come uscire da una moneta unica 

a parte che se si vuole vedere un'analogia tra la svalutazione del '92 e le probabili conseguenze di una eventuale uscita dall'€ 

bisogna prendere in considerazione tutti i dati e non solo quelli che fanno comodo
bisogna prendere in considerazione tutti i dati e non solo quelli che fanno comodo
bisogna prendere in considerazione tutti i dati e non solo quelli che fanno comodo
bisogna prendere in considerazione tutti i dati e non solo quelli che fanno comodo
bisogna prendere in considerazione tutti i dati e non solo quelli che fanno comodo
bisogna prendere in considerazione tutti i dati e non solo quelli che fanno comodo
bisogna prendere in considerazione tutti i dati e non solo quelli che fanno comodo
bisogna prendere in considerazione tutti i dati e non solo quelli che fanno comodo
bisogna prendere in considerazione tutti i dati e non solo quelli che fanno comodo
bisogna prendere in considerazione tutti i dati e non solo quelli che fanno comodo



la vera domanda è: un ipotetico aumento del debito privato non ridenominabile di



149 miliardi e 75 milioni di lire



potrebbe essere un impegno sostenibile e non catastrofico per l'Italia post-euro?

Bagnai fa presente che oltre ai debiti abbiamo anche crediti under foreign law ma non ne specifica la quantità e quindi non si capisce se tali crediti potrebbero mitigare significativamente il peso dei debiti non ridenominabili.

Proviamo allora a vedere a quanto ammonta il debito estero netto, cioè il debito privato e pubblico netto verso l'estero: secondo l'ultimo dato Eurostat disponibile il debito estero netto vale attualmente il 60.2% del Pil mentre a fine 2014 valeva il 58.7% del Pil e a fine 2015 valeva il 59.7% del Pil. 


Sorge spontanea la domanda: davvero qualcuno può pensare che uscire domani dall'€ con un debito estero netto, in gran parte non ridenominabile, di circa

1.000 miliardi di € 

potrebbe essere un impegno sostenibile e non catastrofico per l'Italia post-euro?


In ultima analisi, le prove addotte da Bagnai per confutare il catastrofismo sono inconsistenti (il saggio di Rose è inservibile, il ricorso alla Lex Monetae per minimizzare gli effetti sul debito pubblico di un'uscita dall'€ è un'arma spuntata, contrariamente a quello che vorrebbe far credere Bagnai l'impatto di una svalutazione di una certa ampiezza sul debito privato non ridenominabile potrebbe essere estremamente negativo) e la sfida dei dati ci mostra che i professoroni che propugnano l'Euro-exit hanno un rapporto a dir poco disinvolto con i dati stessi: esaltano quelli che in apparenza rinforzano le proprie teorie ma tralasciano quelli problematici e ignorano quelli decisivi.

Il risultato complessivo è che la critica e la presunta confutazione del catastrofismo sono talmente deboli da alimentare la convinzione che i rischi di un Euro-exit (probabile impatto negativo su quota salari, salari reali e occupazione e difficoltà enormi nel gestire il debito pubblico e quello privato) siano davvero troppo rilevanti rispetto ai presunti benefici.


domenica 16 ottobre 2016

Bagnai, le banche centrali e i Bund alemanni

Questa è la seconda parte del post Quelli che "le banche centrali di paesi terzi potrebbero addirittura guadagnarci, da una dissoluzione dell'euro"

In questa seconda parte vedremo come funziona la tecnica della narrazione accattivante di Bagnai, una narrazione che inizialmente appare convincente perché fa leva su dati verificabili e su ragionamenti verosimili ma che ad un esame più attento risulta fantasiosa e fasulla perché basata su dati parziali ed interpretazioni superficiali. 

La presunta confutazione dell'intervento di  Leonardo Becchetti, Mauro Gallegati, Guido Iodice, Daniela Palma, Francesco Saraceno e Leonello Tronti si articola in una serie di passaggi il primo dei quali è l'assunto che la sparizione dell'euro non determina la sparizione delle riserve valutarie denominate in euro e non determina nemmeno la loro demonetizzazione (= perdita di valore perché la moneta va fuori corso) o la loro svalutazione ( = perdita di valore causa svalutazione eccessiva).

Il secondo passaggio della narrazione di Bagnai consiste nello spiegare perché la sparizione dell'euro non determinerà la sparizione delle riserve valutarie denominate in euro e non determinerà nemmeno la demonetizzazione delle stesse o la loro svalutazione. Secondo Bagnai la ragione sta nel fatto che le riserve valutarie mondiali denominate in euro sono pressoché tutte allocate in Bund tedeschi:

In altre parole, i 1355 miliardi di dollari di riserve denominate in euro in giro per il mondo a fine 2015 è estremamente probabile che fossero pressoché tutte allocate in Bund.

Secondo Bagnai già nella seconda metà degli anni '90 quando il marco tedesco, il franco francese, il fiorino olandese e l'ECU erano le monete europee che venivano utilizzate come valuta di riserva ed il marco tedesco faceva la parte del leone, le riserve valutarie delle banche centrali erano allocate soprattutto nei titoli di stato tedeschi, come dimostrerebbe il seguente "disegnino" proposto da Bagnai:




Spiega Bagnai: "Questo in buona sostanza cosa significa? Significa che in giro per il mondo, verso il 1998, nell'attivo delle banche centrali (incluse quelle europee), c'erano circa 176 miliardi di Bund o similari (escluderei che ci fossero 176 miliardi di monete da un marco, se non avete particolari obiezioni da farmi)."

E oggi? Secondo Bagnai sono cambiate le grandezze 




 (nel 1999, anno di nascita dell'euro, le riserve valutarie mondiali denominate in euro ammontavano a 247 miliardi di dollari, a fine 2015 ammontavano a 1.355 miliardi di dollari mentre secondo l'ultimo dato disponibile il valore corrente è di 1.514 miliardi di dollari) ma non è cambiata la sostanza della questione:

"i 1355 miliardi di dollari di riserve denominate in euro in giro per il mondo a fine 2015 è estremamente probabile che fossero pressoché tutte allocate in Bund. Se lo erano prima dell'euro, e quindi verosimilmente prima della crisi, lo saranno (razionalmente) state ancora di più dopo lo scoppio della crisi, che avrà ancora di più spinto i banchieri centrali, personcine avvedute e avverse al rischio, a rivolgersi, per investire i loro euro, verso i titoli del paese considerato meno rischioso dell'Eurozona: la Germania."

La tecnica della narrazione accattivante di Bagnai funziona quasi sempre così:  la narrazione si sviluppa partendo da un dato certo (il valore a fine 2015 delle riserve valutarie mondiali denominate in euro) che si combina con un presupposto che ha il valore di un postulato (in questo caso il buon senso dei banchieri centrali,  personcine avvedute e avverse al rischio che investono le riserve valutarie nei titoli di stato che ritengono più sicuri) ed il risultato è una deduzione che apparentemente non fa una grinza e appare verosimile:

è estremamente probabile che a fine 2015 pressoché tutte le riserve valutarie denominate in euro fossero allocate in Bund tedeschi.

Al lettore medio la narrazione accattivante di Bagnai sembra sempre piuttosto convincente grazie anche ad uno stile a volte ironico e perculante (che suscita nel lettore una sorta di complicità con l'autore), a volte perentorio e categorico (che nel lettore medio suscita un sentimento di soggezione psicologica ed intellettuale perché l'autore sembra troppo sicuro per dubitare di quel che dice).

Il fatto è che quando si va a grattare la superficie della narrazione accattivante di Bagnai emerge sempre la magagna : nel caso in esame il problema è che la narrazione accattivante o per meglio dire il ragionamento di Bagnai non è confortato da un dato di appoggio perché abbiamo solo il dato relativo al valore delle riserve valutarie mondiali denominate in euro ma non abbiamo un dato che confermi che EFFETTIVAMENTE  i 1355 miliardi di dollari di riserve denominate in euro in giro per il mondo a fine 2015 fossero pressoché tutte allocate in Bund, Bagnai dice che "è estremamente probabile" che fosse così ma non fornisce un dato che confermi tale probabilità e che fosse EFFETTIVAMENTE così, in realtà è solo una deduzione di Bagnai basata sul buon senso attribuito ai banchieri centrali.

La domanda è: esiste però un dato che potrebbe avvalorare la deduzione di Bagnai?

Un dato che potrebbe essere utile per verificare la plausibilità della deduzione di Bagnai è il dato relativo al valore dei Bund in circolazione a fine 2015. Secondo la Deutsche Finanzagentur , a fine 2015 i Bund decennali e trentennali rappresentavano il 61,4% del debito pubblico tedesco:




Considerando che a fine 2015 il debito pubblico tedesco ammontava a 2.152 miliardi e 942 milioni di euro e se per comodità di calcolo arrontondiamo la cifra a 2.153 miliardi di euro vediamo che il 61,4% di 2.153 è 1.321 miliardi di euro e quindi possiamo dire che a fine 2015 il valore complessivo dei Bund decennali e trentennali ammontava a circa 1.321 miliardi di euro ovvero 1.426 miliardi di dollari al cambio di fine 2015.

Cosa ci dice questo dato? Ci dice che se fosse vero o estremamente probabile che i 1355 miliardi di dollari di riserve denominate in euro in giro per il mondo a fine 2015 fossero pressoché tutte allocate in Bund vorrebbe dire che in pratica quasi tutti i Bund esistenti (per l'esattezza il 95%) erano posseduti a fine 2015 dalle banche centrali estere e che adesso, seguendo lo stesso ragionamento (sic) di Bagnai,  praticamente TUTTI i Bund esistenti dovrebbero essere posseduti dalle banche centrali estere, visto che nel secondo trimestre 2016 le riserve valutarie denominate in euro valgono 1.514 miliardi di dollari.

Siccome uno scenario di questo tipo non è plausibile (perché implica che la quota di Bund posseduti dagli investitori privati, dalle banche private, dai fondi d'investimento, dai fondi pensioni e dalle compagnie assicurative fosse irrisoria a fine 2015 e sia praticamente azzerata adesso) ne consegue che la deduzione di Bagnai è senza fondamento: non è vero che è estremamente probabile che i 1355 miliardi di dollari di riserve denominate in euro in giro per il mondo a fine 2015 fossero pressoché tutte allocate in Bund, è vero il contrario cioè che è estremamente improbabile per non dire impossibile che i 1355 miliardi di dollari di riserve valutarie denominate in euro in giro per il mondo a fine 2015 fossero pressoché tutte allocate in Bund.

Proviamo adesso ad immaginare che Bagnai parli di Bund riferendosi genericamente a tutti i titoli del debito pubblico tedesco: cambierebbe qualcosa se Bagnai avesse scritto che è estremamente probabile che i 1355 miliardi di dollari di riserve denominate in euro in giro per il mondo a fine 2015 fossero pressoché tutte allocate in titoli del debito pubblico tedesco?

Un altro dato conferma che anche in questo caso Bagnai sarebbe andato fuori strada e che questa deduzione è campata in aria: è il dato relativo al valore a fine 2015 del debito pubblico tedesco detenuto dai non-residenti, dato che ci dice che tale debito ammontava a 1.294 miliardi e 855 milioni di euro (fonte:  Deutsche Bundesbank).

Cosa ci mostra questo dato? Considerando che a fine 2015 1.294 miliardi di euro corrispondevano a 1398 miliardi di dollari, questo dato ci dice che se fosse vero che i 1355 miliardi di dollari di riserve denominate in euro in giro per il mondo a fine 2015 erano pressoché tutte allocate in titoli del debito tedesco (quindi non solo Bund decennali o trentennali) vorrebbe dire che in pratica a fine 2015  il debito pubblico tedesco in mano ai non residenti era per il 97% nella disponibilità delle banche centrali in giro per il resto del mondo e che adesso, visto che nel secondo trimestre 2016 le riserve valutarie denominate in euro valgono 1.514 miliardi dollari, TUTTO il debito pubblico tedesco in mano ai non residenti è in realtà posseduto dalle banche centrali estere.

Siccome nemmeno questo tipo di scenario è plausibile (perché implica che a fine 2015 gli investitori privati esteri, le banche private estere, i fondi d'investimento, i fondi pensione e le compagnie d'assicurazione estere fossero in possesso di un numero insignificante di titoli del debito pubblico tedesco e che adesso nessun tipo di investitore estero ne disponga eccezion fatta per le banche centrali estere) ne consegue che in ogni caso la narrazione accattivante di Bagnai è senza fondamento nel senso che non è possibile che le riserve valutarie denominate in euro in giro per il mondo a fine 2015 fossero tutte investite in Bund o in altri titoli del debito tedesco perché questo avrebbe voluto dire, come si è visto, che quasi TUTTI i Bund erano posseduti dalle banche centrali estere o che quasi TUTTI i titoli del debito pubblico in mano dei non residenti erano in realtà in mano alle banche centrali estere.

Lo scenario più probabile invece è un altro ed è più o meno quello rappresentato da questo "disegnino":




che cristallizza a fine 2013 la tipologia dei possessori dei titoli del debito pubblico di alcuni paesi dell'area Euro: dal "disegnino" risulta evidente che le banche centrali del resto del mondo (denominate "foreign official") possedevano a fine 2013 circa il  27% del debito pubblico tedesco (che all'epoca ammontava a 2.177.829 milioni di euro) 

Considerando che il 27% di 2.177.829 milioni di euro sono circa 588 miliardi di euro, che 588 miliardi di euro a fine 2013 valevano circa 805 miliardi di dollari, che a fine 2013 le riserve valutarie mondiali denominate in euro valevano 1.506 miliardi di dollari, possiamo dire che a fine 2013 circa il 53,4% delle riserve valutarie denominate in euro erano impegnate sui Bund e altri titoli del debito tedesco mentre il resto era allocato altrove. 

A distanza di due anni, è possibile ipotizzare che la quota di debito pubblico tedesco posseduta dalle banche centrali estere non sia più la stessa ma certamente tale quota non può essere aumentata in misura tale da assorbire, come erroneamente ritiene Bagnai, quasi tutto il valore dei Bund o quasi  tutto il valore del debito pubblico tedesco posseduto dai non residenti.

Una volta appurato che le considerazioni di Bagnai sulla destinazione delle riserve valutarie delle banche centrali fanno acqua da tutte le parti, occupiamoci addesso del terzo passaggio della sua narrazione accattivante, terzo passaggio che costituisce anche il momento topico dell'intervento di Bagnai:

la logica economica ci dice che le banche centrali di paesi terzi potrebbero addirittura guadagnarci, da una dissoluzione dell'euro.

La "logica economica" di cui parla Bagnai sarebbe questa:

quando l'euro salterà (non se: quando) ci saranno diversi problemi, che sono conosciuti da chi ha studiato la materia invece di industriarsi in altri campi del sapere economico (o presunto tale). Ma sicuramente fra questi non dobbiamo annoverare la "sparizione delle riserve". Semplicemente, il giorno dopo Patel o Zhou si troveranno con quello che avevano il giorno prima: dei titoli di stato tedeschi che però saranno, a seconda degli scenari, definiti o in un nuovo marco o in un euro del Nord, e quindi risulteranno nettamente rivalutati rispetto al giorno prima. Quindi da questa evoluzione (che è solo una delle tante che si verificheranno in seguito all'evento) i nostri amici banchieri centrali, per i quali stiamo tanto in pena, noi di sinistra, bé, da questa evoluzione rischiano addirittura di guadagnarci. 

Il succo del ragionamento (sic) di Bagnai è questo: le banche centrali estere hanno quasi tutte le riserve valutarie denominate in euro impegnate sui Bund e sui titoli del debito tedesco ( sappiamo già che non è vero ma facciamo finta che lo sia per seguire la "logica" di Bagnai), pertanto quando l'euro salterà (evento dato per certo ma non si sa quando accadrà) i titoli del debito tedesco verranno ridenominati in una valuta che verrà rivalutata e quindi anche il valore dei titoli aumenterà, ergo i banchieri centrali di paesi terzi che hanno investito tutte le riserve valutarie denominate in euro sui Bund e sui titoli del debito tedesco (sappiamo che non è così ma facciamo ancora finta che lo sia) da questa evoluzione rischiano addirittura di guadagnarci. 

Bagnai ribalta dunque completamente la prospettiva dell'intervento di Leonardo Becchetti, Mauro Gallegati, Guido Iodice, Daniela Palma, Francesco Saraceno e Leonello Tronti : non solo le riserve valutarie non spariranno quando salterà l'euro (ma nessuno ha mai detto che sparirebbero se l'euro saltasse) ma quando l'euro salterà i banchieri centrali, che hanno le riserve valutarie pressoché tutte allocate in Bund , rischiano addirittura di guadagnarci grazie alla rivalutazione della nuova moneta di riferimento (nuovo marco o euro del Nord).

In estrema sintesi: secondo Bagnai, quando l'euro salterà, ci saranno diversi problemi ma sicuramente fra questi non dobbiamo annoverare la "sparizione delle riserve" e la crisi finanziaria potrebbe risultare più apparente che reale perché i banchieri centrali  da questa evoluzione rischiano addirittura di guadagnarci. 

Ma questa evoluzione di cui parla Bagnai è plausibile?

[continua ...] 


mercoledì 12 ottobre 2016

Quelli che "le banche centrali di paesi terzi potrebbero addirittura guadagnarci, da una dissoluzione dell'euro"

La pubblicazione sul Manifesto del 23 settembre di un intervento di Giorgio Lunghini su "Le conseguenze di un'uscita dall'euro" nel quale si ipotizza uno scenario davvero catastrofico nel caso di un'uscita dell'Italia dall'euro ( svalutazione del 50%, inflazione del 15-20%, perdita di Pil pari a circa il 40% per l’Italia nel primo anno, seguito da 15% negli anni successivi per almeno un triennio) non è passata inosservata e la reazione del mondo #noeuro non si è fatta attendere: il primo a reagire è stato Leonardo Mazzei con il post FESSERIE DI UN ECONOMISTA del 26 settembre, un intervento che è piaciuto ad Alberto Bagnai, tant'è che lo ha subito riproposto sul blog Goofynomics con il titolo I turbamenti del giovane Lunghini, aggiungendo di suo

...non mi spreco a confutare nel merito roba simile: l'ho già fatto nei miei libri e in innumerevoli post. Inutile poi parlare di letteratura scientifica con chi non ha comprovate esperienze di ricerca nel merito: se rispondessi, probabilmente non capirebbe...

Giovedì 29 settembre è intervenuto Sergio Cesaratto con il post Hot€l California
preannunciando che il giorno seguente sarebbe uscito sul Manifesto un articolo a più firme per rispondere "all'allarmismo del prof. Lunghini circa la rottura dell'euro e la sua ineluttabilità".

In effetti il giorno 30 esce sul Manifesto un intervento firmato da Sergio Cesaratto, Massimo D’Antoni, Vladimiro Giacché, Mario Nuti, Paolo Pini e Antonella Stirati intitolato Se è l’euro la causa dei tanti populismi europei nel quale si contesta lo scenario di Lunghini e si avverte che

dobbiamo allora confrontarci sul punto che combattere il populismo con argomenti altrettanto populisti è una strategia che finora è risultata controproducente. L’unica speranza di contrastare le destre è aprire a sinistra un dibattito basato su fondamenta analitiche e fattuali più solide.

Lunghini replica immediatamente sostenendo di aver "parlato di “stime”, e non di “dati” o di “fatti” ed invitando i suoi critici a rispondere alla domanda "quali potrebbero essere le conseguenze positive di una uscita dalla Uem e dall’euro, per l’economia italiana tutta e in particolare per i lavoratori? "

Il 3 ottobre si butta nella mischia anche Carlo Clericetti con il post Dopo l'euro il diluvio? e dopo due giorni dice la sua Alberto Bagnai sul Fatto Quotidiano





La sera del 6 ottobre il Manifesto nella versione online pubblica un intervento firmato da Leonardo Becchetti, Mauro Gallegati, Guido Iodice, Daniela Palma, Francesco Saraceno e Leonello Tronti intitolato Via dall’euro non significa uscire dal liberismo nel quale si sostiene che "concentrarsi sulle cifre riportate da Lunghini sia un esercizio poco interessante. Difatti, anche se tali previsioni si rivelassero eccezionalmente esagerate, ci troveremmo comunque di fronte ad un evento di proporzioni significative, per usare un eufemismo" e che è più utile focalizzare l'attenzione sugli effetti generali di una eventuale uscita dall'euro tenendo presente che si tratterebbe di "un evento senza precedenti storici paragonabili: la sparizione della moneta unica di una delle principali aree economiche e la seconda valuta di riserva del mondo, non la fine di un semplice accordo di cambio".

L'articolo viene annunciato da Francesco Saraceno su Twitter alle 22.46 del 6 ottobre



e dopo 10 minuti Alberto Bagnai reagisce così




e poi così




Ma dopo 24 ore Bagnai interviene di persona, a gamba tesa, con il post Quelli che "le riserve si vaporizzerebbero"... per ridicolizzare, a suo dire, l'intervento firmato da Leonardo Becchetti, Mauro Gallegati, Guido Iodice, Daniela Palma, Francesco Saraceno e Leonello Tronti.

Purtroppo l'intervento di Bagnai ha paralizzato un dibattito che aveva delle prospettive interessanti, questo capita quando entra in gioco un monologhista. Ma nonostante tutto l'intervento di Bagnai rimane particolarmente interessante ed istruttivo perché ci mostra come funzionano due tecniche argomentative che hanno contribuito in modo significativo al successo della sua impresa pseudo-scientifica:

1. la tecnica dell'argomento dell'uomo di paglia e
2. la tecnica della narrazione accattivante (una narrazione che ad un esame più attento risulta fantasiosa e fasulla perché basata su dati parziali ed interpretazioni superficiali) 

Immagino che chi legge sappia come funziona la tecnica dell'argomento dell'uomo di paglia ma per chi non lo sapesse si tratta di questo: nel corso di una discussione la Persona B travisa l'argomentazione e/o la tesi della Persona A,  la sostituisce con una versione distorta, esagerata, falsata, modificata ad hoc, deformata e/o manipolata e poi sviluppa una presunta confutazione della versione travisata lasciando intendere di aver confutato l'argomentazione e/o la tesi della Persona A mentre in realtà la Persona B ha solo provato a confutare un'argomentazione e/o una tesi che non è stata avanzata dalla Persona A.

Schematicamente questo tipo di "operazione" funziona così:

- Persona A ha posizione X

- Persona B presenta la posizione Y come se fosse la posizione X mentre in realtà la posizione Y è una versione quanto meno distorta (per non dire falsata) della posizione X

- Persona B attacca posizione Y

- Persona B pretende di aver dimostrato che posizione X è falsa, scorretta, imprecisa o insostenibile

- In realtà posizione X, vera o falsa che sia, non è stata discussa 

Nel nostro caso Bagnai ha usato la tecnica dell'argomento dell'uomo di paglia nel modo seguente:

Posizione X (sostenuta da Leonardo Becchetti, Mauro Gallegati, Guido Iodice, Daniela Palma, Francesco Saraceno e Leonello Tronti): se sparisce l'euro, le ripercussioni sul sistema finanziario ed economico mondiale saranno notevoli perché l'euro rappresenta "una delle principali aree economiche" del mondo ed è anche "la seconda valuta di riserva del mondo 

"Se sparisce la moneta unica di una delle principali aree economiche", moneta unica che è anche "la seconda valuta di riserva del mondo" "ci troveremmo comunque di fronte ad un evento di proporzioni significative, per usare un eufemismo."

Posizione Y (presentata da Bagnai come se fosse posizione X): se sparisce l'euro spariranno nel nulla anche le riserve valutarie denominate in euro possedute dalle banche centrali  

" ... quando l'euro salterà (non se: quando) ci saranno diversi problemi, che sono conosciuti da chi ha studiato la materia invece di industriarsi in altri campi del sapere economico (o presunto tale). Ma sicuramente fra questi non dobbiamo annoverare la "sparizione delle riserve".

Bagnai attacca posizione Y

Quando l'euro salterà, secondo Bagnai le riserve valutarie denominate in euro non spariranno perché sono allocate in Bund tedeschi ed i banchieri centrali "si troveranno con quello che avevano il giorno prima: dei titoli di stato tedeschi che però saranno, a seconda degli scenari, definiti o in un nuovo marco o in un euro del Nord, e quindi risulteranno nettamente rivalutati rispetto al giorno prima. Quindi da questa evoluzione (che è solo una delle tante che si verificheranno in seguito all'evento) i nostri amici banchieri centrali, per i quali stiamo tanto in pena, noi di sinistra, bé, da questa evoluzione rischiano addirittura di guadagnarci."

Quindi per Bagnai posizione X non solo è falsa (non è vero che le riserve valutarie spariranno e non è vero nemmeno che ci saranno risvolti negativi) ma è addirittura ridicola

"Mi diverte invece moltissimo, è autenticamente spassosa (posto che sia onesta) l'immagine della sparizione della seconda valuta di riserva del mondo.

Ecco: diamo per scontato che chi ragiona così sia in buona fede (perché potrebbe anche non esserlo, ma occorrerebbe provarlo: la buona fede si presume). Che immagini, cioè, che le riserve ufficiali siano immensi sacchi di juta pieni di contante estero - certo, magari non monete metalliche, ma bigliettoni - depositati nelle casseforti di qualche banca centrale in giro per il mondo. L'Italia (non più Italietta ma Italiona) esce nottetempo dall'euro e... Puff! I sacconi di juta si inceneriscono."

In realtà la posizione X, vera o falsa che sia, è stata travisata e quindi non è stata confutata

Infatti nell'intervento criticato da Bagnai non si sostiene che "se sparisce la moneta unica di una delle principali aree economiche" allora anche "le riserve si vaporizzerebbero" nel senso che sparirebbero nel nulla anche le riserve valutarie denominate in euro possedute dalle principali banche centrali , si è sostenuto e si sostiene sic et simpliciter che se sparisce la moneta unica di una delle principali aree economiche", essendo l'euro anche "la seconda valuta di riserva del mondo", le ripercussioni sul sistema finanziario ed economico mondiale sarebbero significative ("per usare un eufemismo")

Non a caso alcuni dei firmatari dell'intervento del 6 ottobre, ad esempio Guido Iodice e Francesco Saraceno, si sono stupiti e non poco per la lettura del tutto arbitraria fatta da Bagnai:





Difficile dire se il travisamento praticato da Bagnai sia dovuto a malafede o insipienza, certo è che non c'è nulla di scientifico nel distorcere il pensiero altrui.

Ma esaminiamo adesso nei dettagli la narrazione con la quale Bagnai ha preteso di aver confutato e ridicolizzato l'intervento di Leonardo Becchetti, Mauro Gallegati, Guido Iodice, Daniela Palma, Francesco Saraceno e Leonello Tronti.

[continua ...]